Il dipinto occupa il posto d’onore nella sala del Maggior Consiglio, alle spalle della tribuna ove sedeva la Signoria, in posizione di estremo risalto agli occhi dei patrizi veneziani che qui si riunivano ogni domenica. L’opera ha dimensioni vastissime. Si dice che sia uno dei dipinti su tela più grandi del Rinascimento, certamente è il più noto e spettacolare tra le pitture di palazzo Ducale. Jacopo Tintoretto aveva già settant’anni quando ricevette la commissione, la più impegnativa della sua prolifica carriera, e sicuramente per realizzarla si giovò dell’aiuto del figlio Domenico e della propria organizzatissima bottega. L’opera doveva coprire l’affresco trecentesco del pittore padovano Guariento di Arpo - danneggiato nell’incendio del 1577 che colpì questa ala del Palazzo - rispettandone il soggetto, l’Incoronazione della Vergine. L’incarico, inizialmente affidato a Paolo Veronese, alla morte di questi passò a Jacopo Tintoretto. Il pittore, coadiuvato dalla bottega, mette in scena una grande festa: non c’è spazio per i dannati e tutti i beati concorrono a glorificare Maria, assisa nella corona angelica più alta insieme a Cristo, in un vortice dinamico e gioioso. Osservando il dipinto, dopo la prima impressione d’insieme si iniziano a distinguere le singole figure convenute in sacro giubilo. Vediamo allora San Cristoforo, il Re Davide, gli arcangeli Gabriele e Michele, gli angeli dei troni e dei cori celesti … e al centro un’anima, che si eleva direttamente in linea verticale dal seggio del Doge, per ricordare che il destino di tutti i convenuti in questa sala, per primo il doge, è di essere attesi a Quel convito e a Quel giudizio. Quando lo scrittore Mark Twain vide per la prima volta Il Paradiso di Tintoretto, nel 1878, fu colpito dai suoi personaggi animati, attivi e pieni di energia. Ne scrisse con acuta ironia: “Ecco, questa è la mia idea del cielo: tutti che si danno da fare. Tra le diecimila figure non ve ne è una che sia in riposo. Ognuno lavora di lena ed è pieno di energia, come se questo fosse l’ultimo Sabato Notte. Alcuni si tuffano, con le mani allacciate, altri nuotano trai i banchi di nuvole, alcuni a rana, altri sul dorso, alcuni fanno ginnastica con le molle, nessuno è in ozio”.
Autore
Jacopo Robusti, detto Tintoretto (Venezia, 1518/19 – 1594) e Domenico Robusti detto Tintoretto (Venezia, 1560 ca. – 1635)