Fino alla grande mostra monografica del 1949 il pubblico ammirava questo dipinto nella sua versione Cinquecentesca, frutto dell’intervento di Paolo Farinati (1524-1606), il quale aveva aggiunto alla lunetta originale un ampio paesaggio sullo sfondo, trasformando così il formato della tela in un quadrato.
Il restauro di metà Novecento permise di ritrovare la composizione originale centinata di Giovanni Bellini, la cui presenza a Palazzo Ducale è testimoniata da fonti che risalgono al Seicento (Carlo Ridolfi, 1648, e Martinioni, 1663). La tela pare fosse destinata in origine alla cappella di Palazzo dedicata a San Nicolò – da cui il santo inginocchiato sulla destra – e poi collocata nell’Avogaria di Comun, dove la registrano i primi storiografi.
Al lato opposto di San Nicola figura San Marco, patrono della Repubblica, a conferma della destinazione pubblica della commissione. Al centro, il corpo di Cristo è sorretto dalla madre e da Giovanni. L’espressività emotiva del dipinto è affidata ai volti dei tre protagonisti. Al pianto sofferente dei dolenti corrisponde lo strazio del corpo del Figlio, in una scena di grande intensità patetica. Bellini introduce l’innovazione illusionistica della lastra tombale che diventa altare del sacrificio, con i due candelabri pronti per la celebrazione eucaristica.
Il problema della datazione del dipinto anima tuttora gli studiosi, divisi tra chi ritiene credibile la data 1472, attestata in un documento del 1716, e chi invece la anticipa fino al 1457-59, in base a valutazioni basate su elementi stilistici e biografici.