Comparve a Venezia tra il XV ed il XVI secolo ed è il travestimento veneziano per antonomasia. Tra tutte le maschere di Venezia la bauta era quella che aveva il maggior permesso di vagare per calli e campi: anche nei giorni di San Marco e dell’Ascensione, per l’elezione di dogi e procuratori, quando le altre maschere erano bandite. A Venezia indossare una bauta era uno status-symbol, tanto che le norme di buona educazione volevano che il rispetto o il saluto erano dovuti e cortesi a ogni maschera, appunto perché non si poteva conoscere chi fosse ad indossarla, personaggio di spicco o semplice popolano. La maschera in genere viene associata ad un mantello ungo fino in vita, dal tricorno dalla maschera vera e propria; peculiarità della bauta è il labbro superiore deformato ed allungato in modo da deformare anche la voce di chi la indossa, per non farsi riconoscere. Spesso si confonde la Bauta-maschera con la Bauta-costume. La maschera è la sola larva, maschera inizialmente di colore nero poi bianca, la forma ricopriva i tre quarti del volto lasciando leggermente visibile il mento e e presentava due fori elittici per gli occhi, gli zigomi evidenziati e lo spiovente che partiva da sotto il naso aprendosi come un becco. Questa conformazione diventava una cassa armonica che rendeva chiusa e contratta la voce deformandone il timbro. La sporgenza che assumeva o di punta o sui fianchi discendenti degli zigomi era anche un modo comodo per poterla impugnare una volta tenuta in mano.