Con intensa suggestione drammatica e struggente pathos - forse acme assoluto della peculiare tendenza “espressionista” ferrarese - la scena della Pietà si svolge davanti a metafisiche rupi memori di Mantegna. Pur nelle ridotte dimensioni di un’immagine per la devozione privata, è qui dimostrato il magistrale dominio di Tura sulle tecniche prospettiche e sui rapporti volumetrici nell’atmosfera, capace di conferire una impressionante monumentalità, austera e dolente, al gruppo dei protagonisti in primo piano. Questi sono composti secondo il modello iconografico dei Vespersbild (gruppi scultorei assai diffusisi dall’area alpina orientale verso la regione veneto-adriatica): il Cristo giacente, quasi fosse tornato bambino, sulle ginocchia della Madre, che dolente ne contempla le membra straziate. È qui chiaro il debito poetico e tecnico del pittore con la contemporanea pittura fiamminga, ad iniziare dalla raffinatissima stesura pittorica per velature a olio e lacche che, sopra un fine disegno lasciato in parte trasparire (es. sul corpo del Cristo), modella nitidi i volumi e cesella ogni minimo dettaglio sotto una luce cristallina, fino al fondo del paesaggio retrostante. Anche sul piano espressivo non meno diretta è la connessione con il trattenuto e intimo patetismo di van der Weyden. Ne nasce così un’immagine di indimenticabile emozione.