Il vetro calcedonio fu probabilmente inventato a Murano attorno alla metà del XV secolo da Angelo Barovier e si ottiene mescolando rottami di vetro opale bianco, colorato e cristallo e aggiungendo, a fusione ultimata, miscele di sostanze (come rame, argento, cobalto ecc.) da cui derivano le venature policrome. Questo tipo di vetro conobbe grande fortuna tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Nei soffiati in calcedonio del Seicento e del Settecento, come in questa bottiglia, si notano a volte tra le venature piccole striature di avventurina, una pasta vitrea di colore rosso bruno piena di pagliuzze a riflessi dorati, introdotta nella vetraria muranese nel XVII secolo. Queste macchie erano ottenute, durante la prima fase di lavorazione, arrotolando il bolo vitreo su schegge irregolari di avventurina distribuite su un piano metallico detto bronzin. La bottiglia presenta delle costolature massicce ottenute tramite soffiatura a stampo ed è chiusa da un tappo metallico con apertura a cerniera. Un valido aiuto per la datazione di questo pezzo sono alcuni dipinti seicenteschi in cui compaiono esemplari simili. Nella Natura morta con tappeto turco del 1640-1654, attribuita a Francesco Noletti il Maltese e conservata al Musée Fesch di Ajaccio, compare una bottiglia trasparente a grosse costolature con tappo metallico, contenente del vino. La stessa bottiglia è raffigurata anche nella Natura morta con pappagallo di Pier Francesco Cittadini, conservata alla Galleria Estense di Modena e datata al terzo quarto del XVII secolo.