Nelle cascate d'oro è racchiusa la scritta Pax Tibi, l'incipit della locuzione stampata sul Vangelo che il leone veneziano tiene tra le zampe. Pax Tibi, Marce, evangelista meus,
pace a te, Venezia, senza tempo come il nobile e puro materiale. L'oro a Venezia è simbolo, è anche sapienza artigiana di indoratore, che Fabrizio Plessi traduce in un flusso digitale contemporaneo, a saldare come sempre l'apparente opposizione fra elementi primordiali e tecnologie, natura e artificio, tradizione e futuro.
Le finestre del Museo Correr, nel lato di Piazza San Marco opposto alla Basilica, sono la sede dell'apparizione scenografica e luminosa, e sonorizzata da Michael Nyman, di cascate d'oro senza origine né fine, di un potente e dirompente loop magmatico che si mostra nel cuore di quella che fu la Serenissima. L'Età dell'Oro
è un tempo sospeso e circolare, che senza nostalgia ma con concreto senso del presente avvolge Venezia, città oggi ferita ma di eterna incorruttibile bellezza che a tutto sopravvive. L'arte qui non inganna, l'immateriale tecnologico non si finge altro ma espande in una fluida eternità l'aurea materia, a pervadere il tempo e lo spazio della città
di pietra avvolta dalla laguna e dalle infinite rifrazioni della luce. Nel luogo che vent'anni fa ospitò l'installazione Waterfire Fabrizio Plessi con L'Età dell'Oro
torna, allo scadere dei suoi ottant'anni, con un omaggio profondo e commosso alla sua città d'elezione e di vita.
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