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#IORESTOACASA
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Un secolo di Delphos

Venezia è stata New York prima di New York, Parigi prima di Parigi, è città fin dalle origini cosmopolita che costruisce la propria identità elaborando quelle altrui, muovendosi sapientemente fra passato, presente e futuro e fra oriente e occidente. Mariano Fortuny (1871-1949) viene dalla Spagna con una famiglia che vive a Roma, Parigi e Venezia, è figlio di artisti, il padre pittore di fama e collezionista sapiente, di mente aperta e spirito viaggiatore, muore giovane a 37 anni e lo lascia orfano a tre. Il figlio si nutre comunque, per trasmissione familiare, della sua arte e del suo sapere, giovane uomo dal 1890 vive fra Venezia e Parigi, dove nel passaggio al nuovo secolo incontra Henriette che da lì in poi gli sarà sempre sodale e musa. Con lei nei primi anni del Novecento si trasferisce definitivamente a Venezia, e crea un atelier (per dargli una definizione davvero riduttiva) nel Palazzo Pesaro degli Orfei a San Beneto, dietro campo Sant'Angelo, costruendo la storia imprenditoriale, culturale, commerciale più innovativa a Venezia e non solo fra Otto e Novecento.

L'abito Delphos nasce nel 1909 Mariano registra i brevetti sia del vestito ("Modello di abito da donna") che della plissettatura ("Tipo di tessuto ondulato a pieghe") e qui aggiunge che l'invenzione va attribuita a Madame Henriette Brassart (cognome della madre). La prima acquirente è la marchesa Luisa Casati, un Delphos di seta cinese stampata e plissettata, seguirà una lunga lista, con Eleonora Duse e Emma Grammatica fra le testimonial. Con le altre produzioni, primo fra tutti lo scialle Knossos, metri di seta stampata con motivi arcaici ellenici nato dal lavoro di costumista di Mariano. Le donne che indossano le creazioni Fortuny sono immortalate da grandi fotografi: Isadora Duncan da Edward Steichen, Selma Schubart dal fratello Afred Stieglitz, l'attrice Régine Flory da Albert Harlingue, gli abiti sono nelle più belle riviste di moda e arte del periodo, quello dell'Art Nouveau, delle arti applicate e dell'arte totale, qui declinata più verso d'Annunzio, che di Mariano Fortuny è stato amico e collaboratore, che di Wagner.

Mariano Fortuny ha un'anima fondamentalmente teatrale, autore di scenografie e costumi porta la messa in scena in tutte le arti che frequenta. Le sue fotografie sono teatrali, lo sono i suoi dipinti e le sue invenzioni illuminotecniche per il palcoscenico, i suoi abiti anche, lo è pure il palazzo, la dimora  frequentata assiduamente da artisti e intellettuali che lì si danno appuntamento, si ritrovano, acquistano, conversano, ammirano. Il tintore alchimista come lo chiamò d'Annunzio era esempio di quella Venezia decadente ma ancora colma d'orgoglio per i propri tintori, tessitori, decoratori capaci di gradi innovazioni nel novero della tradizione, incrocio di conoscenze di chimiche, congegni meccanici e correnti stilistiche contemporanee.

Gli abiti Fortuny sono indossati da uomini e soprattutto donne di una comunità trasgressiva, raffinata, cosmopolita, intellettuale ma carnale, diafana e spirituale, da donne emancipate e artiste, moderne nella loro secca e metafisica sensualità, esse stesse parte attiva nel successo dell'abito, il Delphos non fu solo un modello innovativo nella forma, ma un modo nuovo e moderno di vestire le donne europee del XX secolo. Nel Palazzo a San Beneto i Fortuny producono stoffe e sete, nel 1919 Mariano costruisce con Stucky la fabbrica che alla Giudecca produrrrà cotoni stampati per arredamento, nel 1913 hanno aperto boutique a Parigi, Londra, poi New York. Mariano continua il suo lavoro nella scenografia e nell'illuminotecnica, deposita brevetti. Nel 1929 c'è il crollo delle Borse, seguirano l'autarchia, la decandenza delle eccellenze italiane, un'altra guerra, l'ultimo atto della vita di Mariano Fortuny sarà la ripresa nel secondo dopoguerra della factory a Palazzo Fortuny  Nel 1949 lascia questa terra, fine della produzione e Henriette occuperà il resto dei suoi anni, fino al 1965, per le donazioni delle opere della famiglia Fortuny alle collezioni di musei europei, soprattutto spagnoli, e per la catalogazione dell'archivio.

Il Delphos ha proceduto immutato (in diverse versioni: con manica corta o lunga, in uno o due pezzi, con o senza cintura decorata, ma sempre con la preziosa plissettatura) grazie alla forma costante e alle tavolozze cromatica e decorativa infinite, in molti esemplari, dal 1909 al 1949, l'ampiezza temporale del laboratorio, in molti sensi, che fu e che oggi è Palazzo Fortuny

Nota: i link nel testo rimandano tutti a percorsi digitali in  Google Arts&Culture dove poter visitare le sale e ammirare i capolavori in alta definizione e con grande emozione. Sempre in attesa di rivederli dal vero.

Tutti a casa, cosa c'è di meglio di una buona lettura. Il festival di letteratura di Barchetta Blu 2020 “Libro che gira, libro che leggi” quest'anno si è spostato on line con diverse inziative. Comprese quelle dei Servizi Educativi MUVE: appuntamento con il 2 e il 9 maggio per scoprire le miniature e nuovi mondi. Tutti gli aggiornamenti nel profilo FB di Muve Education qui
Per continuare a divertirsi con l'affascinante storia di Palazzo Fortuny e per conoscere il volto di Mariano qui c'è un puzzle da fare on line, per ricomporre l'autoritratto del 1947. Per trovare altri puzzle che ricompongono la storia del Palazzo e delle creazioni della famiglia Fortuny, e una serie di storie interessanti sulle loro vicende, il consiglio è di seguire il profilo Facebook del museo, qui
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